IL QUARTO CAMPO DI LAVORO DI "IO CI STO".
23/08/2010
Il l quarto campo di lavoro “Io ci sto”, ha cercato in questa settimana di proseguire nel servizio già iniziato dai gruppi precedenti. Però questo significa tutt´altro che monotonia: non solo il gruppo del cambio di lavoro è cambiato, ma anche e soprattutto il continuo arrivo di lavoratori stagionali si inserisce in una dinamica che non può lasciarci indifferenti.
Avvicinarsi ai luoghi dove svolgiamo il nostro servizio è percepire un pezzo di tante i protagonisti non lo ritengano.: infatti dicono in africa le condizioni di vita sono migliori. Ci accorgiamo della diversità immediatamente nel colore della pelle, alla quale si aggiunge la lingua, il ritmo delle canzoni, ma anche il modo di relazionarsi di gestire la vita di appropriarsi e organizzarsi nel tempo e nello spazio. In questo incontro si potrebbe instaurare la zizzania del pregiudizio, della paura, della chiusura, dove l´identità e la cultura di ciascuno, oltre che essere di autoriferimento, diventano la legge assicurante dei propri privilegi, in modo esclusivo, escludendo il diverso. Forse perché alcune persone guardano soltanto alla pelle, piuttosto che contemplare gli occhi dell´altro. Questa realtà richiama l´accoglienza, l´integrazione. Non tanto perché siamo distinti, ma perché abbiamo molto di più in comune, un´unica umanità che palpita in diverse culture. Accogliere non è solo dovere di chi ospita, è anche apertura da parte dell´arrivato. Integrazione non è solo adeguamento da parte del migrante alla terra che l´ospita, ma anche cammino dell´autoctono di conoscenza e apprezzamento dei doni che l´altro porta con sé. In questo cammino l´imprecisione dei termini diventa solo un gioco di parole, perché la frontiera e la cultura vengono superate dall´umanità non divisa in cui “extracomunitario” diventa solo una determinazione etimologica e non una classificazione sociale. Il servizio del campo “Io ci sto” si è svolto soprattutto con l´insegnamento della lingua italiana, che è stato anche l´opportunità di stabilire contatti, condividere storie personali, alimentare la speranza che è in noi.. I maestri? Giovani di buona volontà, che si sono resi disponibili ad insegnare l´italiano, alcuni dei quali di altre lingue madri…Gli allievi? Persone venute dall´Africa, per trovare in queste terre il pane per loro stessi e le proprie famiglie: alcuni dei quali, appena finita la faticosa raccolta dei pomodori, si avvicinano alla lavagna per imparare a balbettare qualche parola di italiano. L´aula? Uno spazio d´ombra dove sistemare le sedie, o i bidoni che ne fanno le veci per gli apprendisti. Insomma diremo che sono lezioni poco cattedratiche, ma che non puntano soltanto alle regole grammaticali, per importanti che siano: esiste un altro linguaggio che altrettanto gli italiani, come tutti gli uomini, sono invitati a usare per comunicare, come ci esorta l´apostolo Paolo(1°. Cor. 12, 31), l´amore, che permette una convivenza fraterna, un avvicinarsi pacifico, un cammino meno pauroso, che fa diventare la diversità una ricchezza, che colma altresì le lacune grammaticali.