SHALOM - RIFLESSIONE DI SETTEMBRE 2011

13/10/2011


LA SPIRITUALITA´ CRISTIANA
PARAFRASANDO UN TESTO DI GUILLERMO MùGICA


• Leggere il testo di KNITS – SENZA BUDDA NON POTREI ESSERE CRISTIANO – pp263-264
• Karl Rahner; “Il Cristiano del terso millennio o è un mistico o non è nessuno”
• Alberto Maggi fa un´affermazione molto chiara, che io condivido; lui si limita a fare un servizio per consentire a ognuno di leggere il vangelo e comprenderlo come l´evangelista l´ha voluto esporre. Poi si ferma lì. Non dà indicazioni pratiche o sul come vivere il vangelo. Il compito degli incontri di Shalom è di aiutare alla comprensione dei vangeli; poi la messa in pratica di questo vangelo dipende dalla persona, dalla sua storia, dal suo contesto, dalla sua identità; non dipende da me.
• L´incontro di oggi vorrebbe essere un invito a ciscuno di voi a prendere in mano la propria spiritualità e di decidere come viverla.


Quella cristiana è una spiritualità specifica tra le spiritualità dei credenti. E, tra queste, non afferma e confessa semplicemente un Dio, ma essa confessa il Dio di Gesù Cristo, nella cui comunione cerca di vivere.
Dalla fede in lui, la spiritualità cristiana va incontro allo spirito umano e riconosce in esso lo Spirito, che Dio Padre, per mezzo di suo figlio Gesù, ha riversato gratuitamente e con amore su tutta la creazione e su tutte le creature.
Lo Spirito di Dio sta in noi e noi in lui prima di qualsiasi nostra azione. Insomma siamo abitati da un mistero più grande di noi stessi. Quindi tutti e tutte diventiamo uomini e donne “spirituali”, mistici potenziali, che lo diverranno davvero, quando prenderanno consapevolezza di questa misteriosa presenza divina. La spiritualità cristiana, inoltre, fa del Dio di Gesù e di una vita di comunione con Lui, simile a quella di Gesù, la chiave del significato, della ricerca, degli orizzonti esistenziali e norma di vita. Un Dio
• in cui non solo si crede, ma che “si sente” (Pascal)
• che non è soltanto l´Assoluto, ma è relazione personale, Dio di qualcuno, il “Dio mio”:
• con cui siamo legati, come da cordone ombelicale, ed è in lui e a partire da lui che possiamo entrare n relazione con il tutto.

1. CHE COSA INTENDO PER SPIRITUALITA´ CRISTIANA

Le definizioni sono diverse e non mi intratterrò in esse. Se la spiritualità è una forma di vita conforme ad uno spirito, questi, per la spiritualità cristiana, non sarà altri che lo Spirito di Gesù. Quindi spiritualità cristiana sarà l´arte di vivere secondo lo Spirito di Gesù, così come è vissuto lui.
Consiste in seguire Gesù in modo che la sua esperienza di Dio e il suo Spirito siano quello che disegna la nostra vita. Per lo sviluppo della vita spirituale ci si rifà alle parole e ai fatti di Gesù, ai suoi insegnamenti, alle sue azioni di salvezza e liberazione. Questa è la strada: lasciarsi ispirare e trasformare sempre più dallo Spirito di Gesù e tentare di cambiare questo mondo così come lo ha voluto lui. Insomma cristiana sarà quella spiritualità che segue quella che ha vissuto Gesù.
La spiritualità cristiana quindi si definisce come sequela effettiva di Gesù e non può essere altro. Non si tratta evidentemente, dopo due millenni, di un ricalco identico. Parliamo di lasciarsi ispirare dallo Spirito di Gesù e di una sequela creativa. Prendi in seria considerazione la tradizione cristiana, ma non limitarti ad essa. Non per nulla lo Spirito feconda e rinnova tutto.


2. UN´ESISTENZA UNITARIA DI FEDE E VITA


Si tratta di seguire Gesù nella quotidianità dell´esistenza, consapevoli che ogni vita umana è il luogo privilegiato per l´incontro con il nostro Dio; soprattutto dopo l´incarnazione e la conseguente mediazione “sacramentale” di tutto il creato. Paolo agli ateniesi lo ricorda: “In lui viviamo, ci muoviamo, esistiamo” (Atti, 17,28). Per andare a un appuntamento con Dio non sono necessari viaggi galattici o siderali. Non è necessario abbandonare questo mondo “non ci sono riserve territoriali per Dio!”. Invece, sì esistono ambiti che, secondo il vangelo, sono stati e saranno sempre luoghi di una privilegiata densità teologale e spirituale: “Avevo fame…avevo sete…(Mt. 25, 31-46): gli emarginati e gli esclusi.
Dobbiamo capire che Gesù ha vissuto il suo rapporto con Dio in modo tale che ha fatto di tutto il mondo un tempio, di ogni persona un altare, e di ogni relazione umana una liturgia. Il suo progetto non è stato quello di sacralizzare la vita e la convivenza, ma invece di evidenziare e portare a pienezza quanto di santo e divino esse già contengono. José Castillo afferma che l´intenzione di Gesù è stata di “rendere laica la religione”; di “trasformare la religione sacra in religione civile”, perché solo così è possibile superare l´ipocrisia religiosa e la disumanizzazione. Religione civile, non nel senso di “religione di stato”, ma nel senso di culto a Dio già presente nel respiro dell´universo.
Il Dio di Gesù non aveva fissa dimora se non nel mondo intero, che era la sua casa. Perfino il piccolo granello di senape, la donna che spazza la casa o il fiore che cresce nel campo gli parlavano dell´amore del Padre e del suo grande progetto, il Regno (non il paradiso, ma la il nuovo vivere insieme nella condivisione e nella pace).
Quindi dobbiamo cercare anche noi di vivere con Dio, occupandoci delle cose, perché Dio è l´amore fondante e avvolgente di esse, la loro dimensione più profonda, secondo la tradizione mistica. (l´interessere, il sunyata nella tradizione buddista! Il campo energetico da cui tutto riceve il suo essere, che è un divenire)


DALL´ULTIMO LIBRO DI VITO MANCUSO : “IO E DIO”

Credendo in Dio, io non credo all´esistenza di un ente separato da qualche parte là in alto; credo piuttosto a una dimensione dell´essere più profonda di ciò che appare in superficie…capace di contenere la nostra interiorità e di produrre ora energia vitale più preziosa, perché quando ne attingiamo ne ricaviamo luce, forza, voglia di vivere, desiderio di onestà. Per me affermare l´esistenza di Dio significa credere che questa dimensione, invisibile agli occhi, ma essenziale al cuore, esista e sia la casa della giustizia, del bene, della bellezza perfetta, della definitiva realtà”. Credere allora per l´Autore non è avere la tessera di credente; nonè dire “Signore, Signore!”; ma è agire per colmare il divario tra il mondo, così com´è e la sua perfezione, alla cui realizzazione la fede chiama i credenti. Costruire il Regno, cioè questa nuova società basata sulla condivisione e sulla pace. Con un´espressione di Theilard de Chardin, credere è “amouriser le monde”, “rendere amorevole il mondo”. E´ un modo di ridire le parole di Gesù che chiama i suoi discepoli ad essere “sale” e “luce” deò mondo.

Aveva ragione Simone Weil quando affermava che “non è il modo con cui una persona parla di Dio, quello che mi fa capire se ha dimorato o no nel fuoco divino, ma il modo con cui parla delle cose terrene”. La questione è se Dio è vissuto o percepito come un´appendice o un´aggiunta delle realtà terrene, o se invece lo si considera come il nucleo che dà loro amorosamente la possibilità di esistere.
Per esprimere adeguatamente questa gratuita unione di Dio con tutto e del tutto con Dio, la teologia cristiana ha coniato la parola “panentismo” – Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio – Che non deve confondersi con “panteismo”, per cui tutto è Dio, senza differenze. Dio e il mondo si compenetrano e si fanno reciprocamente presenti, senza separazione alcuna. Ma non possono confondersi e ridursi l´uno all´altro. Dio è creatore e il mondo, e quanto esiste in esso, è creatura. Sono distinti, ma non separati. Si supera così il dualismo. “Il cristianesimo lungo la maggior parte della propria storia è stato afflitto dal problema del dualismo”…, scrive Paul Knits (Senza Budda non potrei essere cristiano – Fazi Editore 2011) il dualismo si manifesta nel momento in cui compiamo distinzioni necessarie e poi finiamo per prenderle troppo sul serio, trasformando quelle distinzioni in linee di demarcazione piuttosto che di collegamento, usandole come se fossero cartelli di vietato l´accesso. Così non solo distinguiamo, ma separiamo…Noi Cristiani (non siamo l´unica religione a farlo) abbiamo distinto Dio e il mondo, il finito e l´Infinito…Abbiamo tanto insistito sulla distanza tra Dio e il mondo (la trascendenza), che siamo finiti per ritrovarci non con Dio e le creature ai due estremi dello stesso campo di gioco, bensì in due stadi diversi!” (p.9)
Non è poca cosa, anzi è grazia meravigliosa che, come afferma la teologia cristiana, la presenza di Dio si compie sempre con la mediazione delle creature.
In sintesi, se vogliamo vivere in unità fede e vita dobbiamo cercare di superare ogni dualismo. Perciò precisiamo tre cose:
1. La mediazione dell´umano. Augusto Klappenbach, filosofo e saggista, si riferisce a questo, come a una “novità” nella storia delle religioni, affermando che per la prima volta la relazione con la divinità esige, come condizione assoluta, la mediazione delle relazioni umane; così si rompe una lunga tradizione che metteva le relazioni sociali a un livello subordinato al culto divino.
2. La comprensione unitaria della vocazione umana e della storia, del naturale e sopranaturale, del sacro e profano; quella che si è chiamata coscienza unitaria. “Tutto è grazia” di Bernanos.
3. E´ la vita concreta con questa coscienza unitaria quello che noi chiamiamo “spiritualità”. La mia fede è diventata più semplice e più dipendente interiormente da una condotta aperta verso gli altri” testimoniava Miret Magdalena al compiere i suoi 94 anni. Questa vita unitaria si concretizza ed esprime particolarmente là dove la fede si attua come istanza critica dell´esistenza (la luce della fede aiuta la coscienza a distinguere il bene dal male), e dove questa riesce ad illuminare, interpellare e a farci ripensare la fede. “Fammi vedere le tue opere e io ti dirò la qualità della tua fede)


3. ALCUNE CHIAVI DI LETTURA PER LA SPIRITUALITA´ DI
GESU´.

In questa sezione seguirò la splendida conferenza di José Antonio Pagola, come pure gli scritti sul tema di Jon Sobrino.
Mi limiterò sinteticamente a tre chiavi di lettura, consapevole dei limiti di questo schema.


1. Il Regno di Dio, come centro della spiritualità di Gesù. Per lui il centro non sta semplicemente in Dio, ma nel Dio del Regno; e non sta semplicemente nel Regno, ma nel Regno di Dio. Il Regno per Gesù non è nell´aldilà, ma qui (“in mezzo a voi”); è il nuovo stare insieme dell´umanità, riconciliata in sé, con Dio e con il creato. Questo Dio è sperimentato e vissuto da Gesù in una relazione intima e personale – ed anche unica - . Questo Dio è “il suo Dio”, colui che riconosce e sente come Padre, dal quale si sente chiamato “figlio prediletto” e con cui stabilisce una relazione paterna/filiale. E´ un Dio buono, compassionevole e misericordioso, la cui bontà è capace di raggiungere la creatura più insignificante della creazione (la foglia dell´albero, il fiore del campo o l´uccello del cielo, per gli ebrei esseri senza senso); che raggiunge tutti e tutte (buoni e cattivi, giusti e ingiusti; e tutti ricevono uguali cure, il suo sole e la sua pioggia) e che vuole che noi, col nostro comportamento, siamo testimoni di questa sua bontà (“siate compassionevoli come lui è compassionevole”). E´ un Dio che richiede giustizia e fraternità, cioè una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei e che, al di là di ogni legalismo e formalismo, costruisca fraternità, perché tutti siamo fratelli e sorelle. Ed è un Dio che, per ciò stesso, dimostra un amore di predilezione per i poveri, i piccoli, gli esclusi, i malati, i peccatori, quelli che non contano, gli insignificanti. E con questo ci indica due cose: che il Dio in cui Gesù crede è amore assolutamente libero, gratuito e incondizionato; non ci ama per le nostre virtù o per i nostri meriti. E che Dio non ama e non vuole la sofferenza o tutto quello che degrada e avvilisce l´essere umano.

2. Gesù vive dello Spirito e nello Spirito. Anche lui ha il suo spirito, che non è altri che lo Spirito di Dio,come lui stesso riconosce e spiega in Lc. 4, 16-22. (Lo Spirito del Signore è su di me…). Qui radica la sua forza motrice. Questa è la sorgente da cui la sua vita beve e da cui fluisce interamente. Noi dobbiamo penetrare fino a questa interiorità, per affacciarci alle chiavi di lettura per comprendere la vita terrena di Gesù. Già al Giordano gli evangelisti evidenziano l´unzione dello Spirito e l´immersione di Gesù in lui. Lo Spirito lo conduce nel deserto. E´ nello Spirito che affronta, in quella situazione e in tutta la sua vita, la lotta costante per un discernimento, per non allontanarsi dalla sua missione, dal sentiero del Servo e dalla volontà del Padre. Proprio perché è consapevole dello Spirito, che Gesù affronterà una lotta tenace contro gli spiriti falsi e immondi che affliggono le persone, le fanatizzano, le degradano, le annullano e tolgono loro la libertà. Proprio perché vive dello Spirito, Gesù sa molto sulla libertà e la esercita, e respinge l´egemonia della legge (“Il sabato è fatto per l´uomo e non l´uomo per il sabato”), anche con lo scandalo dei suoi avversari. Ma la sua libertà è solidale e fraterna. Una libertà liberante: per l´amore e per il bene. Orbene, affermare che Gesù vive nello Spirito e per lo Spirito è come dire che Gesù vive per l´Amore e nell´Amore. Un amore divino, gratuito e incondizionato, che invade e si esprime nella sua ammirevole e sempre sorprendente capacità di amare. Essa ci permette di intravedere appena nell´umanità di Gesù un “più” e una profondità insondabile. In Gesù, uno dei fattori della gratuità collegata all´amore è l´enfasi che pone nel perdono. Nello spirito di Gesù, che mette la sua orma in tutto ciò che vive, fa e dice, ci è data, come dono, la possibilità di avvicinarci allo Spirito, che vive in lui. Sentendosi amato dal Padre, non conserva avaramente per sé questo amore, ma lo effonde sui suoi e sulla gente, e fa partecipi i suoi discepoli della sua missione, della sua autorità e della sua forza vivificante e creatrice. E a loro e a quanti crederanno in lui promette ed effonde il suo stesso Spirito. (Giov. 14,16; 16, 7-13; 20,22).

3. La gioia, la seducente, interpellante e vittoriosa gioia. Gesù non è stato un guastafeste. Prende le distanze dal Battista (“Già la scure è posta alla radice degli alberi; ogni albero che non produce frutti buoni, viene tagliato e gettato nel fuoco…il Messia ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile!” Mt.3, 10-12); tanto che Giovanni in prigione entra in crisi, di fronte alla bontà di Gesù: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?”. La preoccupazione di Gesù per il benessere della gente, il suo invito ad una convivialità aperta, il suo sguardo sulla creazione…manifestano un atteggiamento positivo di fronte alla vita e a quanto contiene. Non è né schivo né rospo; non dubita di partecipare alla festa (Giov. 2,1.11); non rifugge dagli inviti, né respinge la piacevole gioia della intimità, mentre si condivide quello che c´è nella casa degli amici. Una scommessa per una vita piena, come quella di Gesù (“Sono venuto perché abbiano la vita e l´abbiano in abbondanza”) dovette tradursi in uno stile allegro e vitale. Tanto è vero che i suoi nemici lo accuseranno di essere un mangione e un beone. Ma dal suo nucleo personale più profondo, cioè la sua comunione col Padre e con lo Spirito e la sua piena identificazione con il Regno di Dio, che costituiscono il suo tesoro nascosto e la sua perla preziosa, Gesù sa coniugare austerità e gioia. Così ci raccomanda di fare anche noi ( “Quando digiunate, non sfigurate il viso…ma profumatevi…Mt. 6,16-18). E manifesta che la vera fonte della sua gioia è quel nucleo che abbiamo descritto sopra. Ma la gioia d Gesù è una gioia vittoriosa: non sfuma per la durezza della vita, la sofferenza, le avversità, il conflitto, la notte oscura, la croce. Anzi li affronta con la fiducia riposta nel Padre e ricavando forza dall´incontro con lui nella preghiera (Lc. 22, 39-6). E´ vittoriosa perché culmina in quelle sue espressioni: “la vostra tristezza si cambierà in gioia”…”tornerò a vedervi e gioirà il vostro cuore e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Giov.20,22). La gioia di Gesù è anche una gioia inquietante e interpellante e turba; come le beatitudini, un insieme di aporie che sembrano impossibili. E´ mai possibile vivere la gioia nelle avversità e nella notte? Ebbene, se Gesù lo proclama è perché la sta vivendo. E ci riferiamo ad una gioia che è, finalmente, seducente. Non invano il suo vangelo viene chiamato “buona notizia”, “annunzio di gioia”.



Aggiungo qui due riflessioni, che completano quello che abbiamo detto sulla spiritualità:

1. Pensieri di Carlo Maria Martini;
2. La spiritualità universale del Discorso della Montagna



Dall´OMELIA DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI
PER IL XXV ANNIVERSARIO DI EPISCOPATO
Solennità dell´Ascensione
Milano-Duomo, 8 maggio 2005


«Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo tornerà un giorno allo stesso modo in cui l´avete visto andare in cielo»(Atti 1,11) . Queste parole mi dicono molto, perché dalla mia finestra di Gerusalemme io vedo il Monte degli Ulivi e intravedo il luogo tradizionale della Ascensione, segnato da un piccolo minareto. E sento come di là mi risuonino dentro queste parole: «Gesù tornerà, tornerà, a quel modo in cui l´avete visto andare in cielo». Allora mi sorge nel cuore la preghiera: vieni, Signore Gesù, ritorna a visitarci. Signore Gesù, noi amiamo, attendiamo la tua manifestazione, desideriamo che venga il tuo regno, che siano saziate la nostra fame e sete di giustizia, che si compia la tua volontà in pienezza. Fa´ che cerchiamo anzitutto, come ci hai insegnato nel Discorso della montagna, il regno di Dio e la sua giustizia. Chiedo la grazia che questo regno venga, e non semplicemente che venga quasi impercettibilmente nella storia, ma che venga nella sua manifestazione totale e definitiva, là dove tutto sarà chiaro, tutto apparirà trasparente. E´ a partire da quel momento culminante in cui la storia sarà giudicata, valutata da Dio, che noi siamo invitati a leggere la nostra piccola storia di ogni giorno. Il Signore viene, il Signore verrà, per rendere a ciascuno secondo le sue opere, cioè per collocare nella verità tutte le nostre scelte.
Il Signore verrà e io lo vedo ogni mattina, perché il sole sorge proprio dal Monte degli Ulivi e col sorgere del sole sento la certezza del venire del Signore per giudicare fino in fondo la nostra vita e renderla trasparente, luminosa, oppure per purificarla là dove essa necessita di purificazione…
Tutta la storia sarà giudicata da Dio. La storia non è un processo infinito che si avvolge su se stesso senza senso e senza sbocco; è qualche cosa che Dio stesso raccoglierà, giudicherà, peserà con la bilancia del suo amore e della sua misericordia, ma anche della sua giustizia, cioè chiamerà “male” il male e “bene” il bene, ma il figlio che ha fatto del male, lo fascerà con la sua misericordia. Noi abbiamo bisogno in questa storia del dono del discernimento, per prevenire in qualche modo, per sintonizzarci con il giudizio di Dio sulla storia umana, sulle vicende che si svolgono attorno a noi e soprattutto sulle vicende che si svolgono nel nostro cuore.
Voglio insistere sul dono del discernimento che tanto spesso ho chiesto per me e per voi in tutti questi anni, pregando il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, che vi desse uno “Spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui”.
Certo è bello aver visto, come ho visto anch´io un mese fa, le folle, milioni di persone rendere testimonianza alla salma di Giovanni Paolo II, aspettando magari dieci ore per poter vedere per mezzo minuto quest´uomo che è stato, giustamente, esaltato nella sua morte come padre spirituale dell´umanità, come guida spirituale del mondo intero. In un mondo globalizzato ci voleva un padre spirituale che dicesse parole capaci di commuovere tutti, parole di giustizia, di verità, di pace, parole contro la guerra, contro le violenze. E la gente lo ha riconosciuto ed è stato bello assistere a questa testimonianza.
Tuttavia guardando la gente che sfilava davanti alla salma di Giovanni Paolo II, pensavo che a poco varrebbe venerare un padre spirituale dell´umanità se Dio poi non parlasse nell´intimo di ogni cuore, indicando a ciascuno di noi qual è il nostro compito, la nostra vocazione, ciò che dobbiamo fare, ciò che è chiesto proprio a noi e non ad un altro. Non bastano le parole generiche, non bastano le esortazioni valide per tutti; Dio stesso vuole entrare in comunione immediata con ogni creatura umana per guidarla, attraverso la scoperta della sua missione e della sua vocazione.
Per questo ho tanto pregato per voi dicendo: possa tu, o Signore, illuminare gli occhi della nostra mente, per farci conoscere a quale speranza ci hai chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la tua eredità tra i santi, qual è la straordinaria grandezza della tua potenza verso noi credenti e come vuoi che noi, giorno dopo giorno, ora dopo ora, la viviamo e la mettiamo in pratica vivendo la nostra vocazione irrevocabile, irripetibile, non cedibile ad altri, ciò che il Signore aspetta da ciascuno di noi. E ciascuno di noi può dargli grandi cose perché, come ho già ricordato, «grandi cose fa in noi l´Onnipotente».
Abbiamo bisogno di credere come comunità cristiana, ma anche di credere fortemente come singoli, chiamati, illuminati, toccati personalmente dalla voce di Dio, dalla sua grazia, dalla sua Parola misteriosa. Per questo la lettura orante dei libri sacri è un aiuto indispensabile per poterci orientare nelle vicende del mondo e soprattutto nelle vicende della nostra personalità, del nostro cammino individuale…..
Vengo ora a commentare il comando di Gesù: «Ammaestrate tutte le nazioni». Forse il verbo andrebbe tradotto meglio con “fate discepole” (matheteusate) tutte le nazioni, immergendole nella potenza di Dio (“battezzandole nel nome del Padre…”), insegnando loro ad osservare tutto ciò che il Signore ha comandato. E tutto ciò che ha comandato, in Matteo è – lo sappiamo bene – il Discorso della montagna Matteo 5, o ancora, Matteo 25: «Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me». È questo che dobbiamo insegnare a osservare ed è molto importante tale discorso oggi. Io lo avverto vivendo in un luogo di particolare sofferenza, dove vengono al pettine i nodi dell´umanità, a Gerusalemme, in Medio Oriente.
Abbiamo tutti un immenso bisogno di imparare a vivere insieme come diversi, rispettandoci, non distruggendoci a vicenda, non ghettizzandoci, non disprezzandoci e neanche soltanto tollerandoci, perché sarebbe troppo poco la tolleranza. Ma nemmeno – direi – tentando subito la conversione, perché questa parola in certe situazioni e popoli suscita muri invalicabili. Piuttosto “fermentandoci” a vicenda in maniera che ciascuno sia portato a raggiungere più profondamente la propria autenticità, la propria verità di fronte al mistero di Dio.
A questo scopo non c´è mezzo più concreto, più accessibile, delle parole di Gesù nel Discorso della montagna. Parole che nessuno può rifiutare perché ci parlano di gioia, di beatitudine, ci parlano di perdono, ci parlano di lealtà, ci parlano di rifiuto dell´ambizione, ci parlano di moderazione del desiderio di guadagno, ci parlano di coerenza nel nostro agire («sia il vostro parlare sì, sì; no, no»), ci parlano di sincerità. Queste parole, dette con la forza di Gesù, toccano ogni cuore, ogni religione, ogni credenza, ogni non credenza. Nessuno può dire: «Non sono per me: la sincerità non è per me, la lealtà non è per me, il lottare contro la prevaricazione sui beni di questo mondo non è per me…». È un discorso per tutti, che accomuna tutti, che richiama tutti alle proprie autenticità profonde, ed è quel discorso che ci permetterà di vivere insieme da diversi rispettandoci, non ghettizzandoci, non distruggendoci, nemmeno tenendo le dovute distanze, ma “fermentandoci” a vicenda.
Allora, se faremo così, tutti gli uomini si riconosceranno in tali valori, si sentiranno più vicini, più compagni e compagne di cammino, sentiranno di avere in comune delle realtà profonde e vere, delle realtà che forse non avrebbero saputo scoprire senza le parole di Gesù. Allora, al di là di differenze etniche, sociali, addirittura religiose e confessionali, l´umanità troverà una sua capacità di vivere insieme, di crescere nella pace, di vincere la violenza e il terrorismo, di superare le differenze reciproche. Sarà allora pienamente manifesto il messaggio della grazia di Dio, che è stato dato a san Paolo di portare alle sue comunità e di cui anch´io sono stato fatto partecipe nell´ordinazione di 25 anni fa.
E sarà vicino, più vicino, il ritorno del Signore, sarà più vicina la discesa della celeste Gerusalemme, sarà possibile gridare: «Benedetto il nostro Dio, egli è colui che viene, egli è colui che ci salva». Amen.


LA SPIRITUALITA´ UNIVERSALE DEL DISCORSO DELLA MONTAGNA


Ricevuto il battesimo di Giovanni, con l´esperienza esaltante di sentirsi “Figlio prediletto” (Mt. 3,17), investito da una missione, vinte le tentazioni nel deserto, avendo saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù torna i Galilea, chiama a seguirlo alcuni pescatori (Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni), comincia a girare per i villaggi “predicando la bella notizia del Regno e curando ogni sorta di infermità nel popolo” (Mt. 4,23). Accorrono dietro a lui le folle da ogni parte “dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano, la Siria” (Mt. 4,25).
Allora Matteo dice: “Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo…” (Mt. 5,1). Era venuto il momento di proclamare il suo programma pastorale. E…sorpresa! Non è il terribile programma del Battista; è un programma di gioia, di felicità. E…altra sorpresa: non parla, se non indirettamente, di Dio; suggerisce comportamenti, che procurano gioia e non hanno niente a che vedere con la Legge e la precettistica giudaica. Vanno bene per tutti! Eppure è il suo programma. Chi vuol divenire suo discepolo, deve farlo suo.

1. Chi sceglie di essere povero, cioè di condividere con altri quello che ha, è felice, ed entra nel Regno (= Nuova Umanità).
2. Chi è afflitto e viene consolato, è felice.
3. Chi è non violento, è felice e tutti gli vorranno bene.
4. Chi si adopera ardentemente perché vi sia più giustizia nel mondo, è felice, perché la sta realizzando.
5. Chi è misericordioso, è felice, perché sarà trattato con misericordia.
6. Chi è trasparente, autentico, è felice e il suo occhio limpido vedrà Dio nel creato.
7. Chi è operatore di pace, è felice ed è figlio (si rassomiglia) a Dio
8. Chi viene perseguitato per essere operatore di giustizia, è felice, perché entra a far parte della nuova umanità (il Regno).

Come vedete, con questo programma (Le Beatitudini) Gesù propone una spiritualità universale, interessante per tutti: credenti e non credenti; cristiani, mussulmani e buddisti, come ci ha detto Martini.
E quando, alla fine del lungo discorso della montagna, insegnerà ai suoi a pregare, (Mt. 6,9) (Il Padre nostro), dirà loro di chiedere che questa volontà di Dio si compia per tutti e che si estenda sempre più il suo Regno, cioè questa umanità nuova capace di vivere nella condivisione, nella pace e nella gioia.
C´è un bel modo di recitare il “Padre nostro”, prendendo coscienza dell´azione dello Spirito, già presente nell´”oggi”, nel momento che stiamo vivendo:

Padre, presente nell´univesro, sia benedetto il tuo nome
Si sta estendendo il tuo regno; si sta compiendo la tua
Volontà in cielo e in terra; ci stai dando il nostro pane
quotidiano; ci stai perdonando, come noi perdoniamo;
ci stai sostenendo nella tentazione e ci stai liberando
dal male.