SENTIRSI CHIESA NELL´INVERNO ECCLESIALE
25/10/2011
di Víctor Codina
N.B. Questo testo riporta una lezione tenuta dal gesuita P. Victor Codina in un corso di aggiornamento per presbiteri, tenutosi in Costa Rica (A.C.) nell´anno 2009. L´ho ricevuto cortesemente da Carlo Sansonetti, che ha partecipato al corso.
1. SINTOMI DI UN MALESSSERE
2. DIAGNOSI DELLE CAUSE DI QUESTA SITUAZIONE
2.1. ProblemI intraeclesialI
2.2. Come siamo arrivati a questa situazione
2.3. Cause extraeclesiali
3. CERCANDO VIE D´USCITA: ALCUNE VERITÀ DIMENTICATE
3.1. Dio è più grande della chiesa
3.2. Priorità del Regno sulla Chiesa
3.3. La Chiesa è peccatrice
3.4. La Chiesa sta sotto la forza dello Spirito
3.5. La Chiesa non si identifica semplicemente con la Gerarchia
3.6. La Chiesa è la Chiesa del Gesù povero di Nazaret
3.7 Conclusione
4. COMPORTAMENTI CRISTIANI DI FRONTE ALLA CHIESA D´OGGI
4.1. Riconoscenza e amore
4.2. Fedeltà critica
4.3. Sperare contro ogni speranza
EPILOGO
NOTE
1. I SINTOMI DI UN MALESSERE
Quando Ignazio di Loyola, nei suoi “Esercizi” (EE 352-370), detta alcune regole per sentirsi chiesa, la chiesa viveva i tempi difficili del passaggio dalla Cristianità medievale alla Modernità e alla Riforma. Non vogliamo paragonare quei tempi con il nostro, né pretendiamo riformare le regole ignaziane. Ci limitiamo a chiederci, come vivere la dimensione ecclesiale della nostra fede cristiana nel contesto del mondo d´oggi, in un momento di crisi ecclesiale. I media hanno parlato profusamente degli abusi sessuali di sacerdoti e vescovi, ma certo non è questo che scandalizza maggiormente il popolo di Dio.
Quelli di noi che hanno vissuto la primavera conciliare del Vaticano II negli anni´60, non possiamo fare a meno di sorprenderci di fronte all´attuale situazione ecclesiale, 40 anni dopo il Concilio. All´entusiasmo e all´euforia postconciliare è seguita oggi un´atmosfera di perplessità, di critica, di rigetto, discoraggiamento, di paura, di autocensura, di conflitto nei confronti del magistero gerarchico, di diminuzione nella partecipazione all´Eucaristia e ai sacramenti, della caduta vertiginosa del numero delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, di abbandano della Chiesa, di indifferenza.
Molti dicono: “Gesù sì ma la Chiesa no”. Si è parlato di uno scisma silenzioso di migliaia di persone che abbandonano la Chiesa cattolica. Ci sono cristiani senza chiesa e fedi senza appartenenza ecclesiale. Altri settori, che non arrivano ad abbandonare la Chiesa, vivono sentimenti di impotenza, rabbia, dolore, paura, silenzio e tristezza. Le donne specialmente si trovano in una situazione marginale nella chiesa, col rischio che la Chiesa, che in secoli passati perse intellettuali e operai, perda oggi anche le donne.
Alcuni affemano che “una Chiesa altra è possibile” e c´è chi auspica un Concilio Vaticano III. Altri credono che questa situazione non è più sostenibile per lungo tempo ancora, è esplosiva, e che un bel giorno esploderà.
È vero che questa crisi ecclesiale non è uniforme: si avverte specialmente nel primo mondo e più fortemente in Europa e soprattutto in Spagna. Ma anche nel terzo mondo, e specificasmente in America Latina, da dove scriviamo queste pagine, ci sono sintomi chiari che questa situazione sta arrivando sia a settori di cristiani maturi, sia al mondo dei giovani.
Neppure possiamo ignorare che molti gruppi in America Latina abbandonano di fatto la Chiesa cattolica per passare alle sette, mentre altri gruppi hanno lasciato la prassi ecclesiale e vivono un divorzio tra fede e vita.
La Chiesa è diventata un problema, uno scandalo, un ostacolo per la fede, un segno di contradizione. Siamo assai lontani dalle parole trionfalistiche del Vaticano I, che dichiarava che la chiesa era un grande e perfetto segno di credibilità (DS 3013-3014). Risulta anche lontana l´affermazione di Romano Guardini all´inizio del secolo XX che “la chiesa si sta svegliando nelle nostre anime”.
Alcuni teologi pronosticavano che il secolo XX sarebbe stato il secolo della Chiesa. Questa epoca che culminò con le due Costituzioni del Vaticano II sulla chiesa, la “Lumen gentium” e la “Gaudium et spes”, sembra che oggi si sia chiusa.
2. DIAGNOSI DELLE CAUSE DI QUESTA SITUAZIONE
2.1. Problemi intraecclesiali
È causa di scandalo maggiore il centralismo ecclesiatico, l´indebolimento delle chiese locali e delle loro Conferenze Episcolali, lo scarso rispetto per i diritti umani nella Chiesa, la dottrina del magistero su sessualità e morale sessuale (celibato, matrimonio, contraccettivi, omosessualità.) e su bioetica, la proibizione della comunione ai divorziati che si risposano, la modalità nella nomina dei vescovi e dell´elezione del Vescovo di Roma, l´esclusione delle donne dal ministero e dai centri di decisione ecclesiale, il freno alle voci profetiche (di teologi, di religiosi e perfino di vescovi); l´ossessione dell´ortodossia e la mancanza di dialogo col mondo della scienza; la ricerca del potere e della “propria sicurezza”; il freno alla teologia della liberazione; la forma attuale dell´esercizio del primato papale, la conservazione di strutture della cristianità medievale (Stato Vaticano, nunzi apostolici, cardinali); la stasi dell´ecumenismo, la paura del dialogo tra le religioni; la scarsa accettazione della pubblica opinione, del “dissenso”; lo scarso spazio concesso ai laici; il chiudere la strada ad altre forme di ministeri, incluso il sacerdozio a uomini maturi sposati (viri probati); l´allontanamento dei poveri dalla chiesa e l´affiancamento della gerarchia a governi non solo conservatori, ma perfino dittatoriali; l´ecclesiocentrismo di una chiesa che si dimostra più preoccuopata dei propri diritti e interessi che di quelli del popolo e dei poveri.
Notiamo fin d´ora che praticamente tutte queste difficoltà hanno a che fare con le gerarchie sia romane che locali. Dopo torneremio a riflettere su questo aspetto.
2.2. Come siamo arrivati a questa situazione?
In primo luogo il Vaticano II, pur avendo stabilito i grandi principi per una ecclesiologia di comunione, non riuscì spesso a concretizzare le opportune decisioni per mettere in pratica questa comunione ecclesiale. Inoltre però nell´euforia della primavera conciliare si commisero eccessi e abusi che spaventarono i vertici della Chiesa. Era comprensibile che dopo secoli di chiusura, l´apertura delle finestre allo Spirito suscitasse sconcerto ed esagerazioni. Il fenomeno si rassomiglia alle valanghe di neve che si formano in primavera sulle cime dei monti, dopo un duro inverno.
Si andò formando, quindi, un´atmosfera di paura, già al tempo di Paolo VI che è durata fino alla conclusione del pontificato di Giovanni Paolo II.
Questo ha porrtato a posizioni di ritorno al passato, che sono state chiamate “involuzione ecclesiale” (Rivista Concilium), “restaurazione” (il vaticanista Giancarlo Zizola); “inverno ecclesiale” (Karl Rahner); “ritorno alla rigorosa disciplina” (J.B. Libanio); “notte oscura” (J. I. Gonzàlez Faus).
G. Alberigo, grande storico del Vaticano II, afferma che sembrava quasi che la minoranza che era rimasta in qualche modo emarginata durante il Concilio, tornasse ora bandalzosa a innalzare le bandiere della tradizione antomodernista, antiliberale, antiprotestante e anticomunista!
È vero che verso la fine del pontificato di Giovanni Paolo II ci furono segnali di distesione, quasi che il Papa alla fine della sua vita si sia accorto che bisognava capovolgere questa situazione e puntare a un nuovo stile di Chiesa.
Nel 1986 si riunì ad Assisi con i rappresentanti di tutte le religioni mondiali, per confrontarsi sui problemi della giustizia e della pace. Nel 2002, dopo l´attentato terrorista dell´11 settembre, tornò a convocare un´altra riunione con la stessa finalità. Nella sua esortazione apostolica “Di fronte al terzo millennio” (1994) chiese a tutta la chiesa di ritornare allo spirito del Vaticano II (n.36) e di rinnovare la sua opzione per i poveri (n.51). Nella Enciclica “Ut unum sint” (1995) sull´ecumenismo, chiede a tutte le chiese cristiane di ripensare assieme a lui la funzione del primato di Pietro nella Chiesa (nn.95-96); avvertiva perciò che l´attuale forma del primato romano era diventata più un segno di divisione che di unità tra i cristiani.
Nell´anno 2000, all´inizio del Giubileo, dinanzi alla sorpresa di molti, il Papa chiese perdono per i peccati della chiesa, specialmente per quelli del secondo millennio.
2.3. Cause esterne alla chiesa
Però, assieme a queste cause intraecclesiali, ce ne furono altre esterne alla chiesa. La crisi attuale della chiesa deve situarsi nel contesto più vasto dei profondi cambi socioculturali del nostro tempo. La chiesa, che nel Vaticano II, dopo secoli di rigetto, si era aperta timidamente alla modernità, oggi si trova sconcertata di fronte ai progressi della tecnica e della globalizzazione e di fronte alla nuova mentalità post-moderna.
In primo luogo la presa di coscienza del pluralismo religioso e della possibilità di salvezza fuori dalla chiesa, già affermata dal Vaticano II (NA,1; LG 16; AG 9; GS 22) ha creato una problematica nuova sul valore salvifico delle religioni non cristiane, dei loro fondatori delle loro Scritture; sul concetto e il senso dell´evangelizzazione, sul dialogo interreligioso, ecc.
Tutto questo mette in questione e relativizza il significato dell´unicità e centralità di Cristo, della necessità e della funzione della chiesa nella storia della salvezza; della sua missione evangelizzatrice.
Questo è il punto più caldo, l´occhio del ciclone della teologia attuale, che sembra spostarsi dall´America Latina all´Asia, dalla liberazione al dialogo intereligioso.
Ancora di più, la Modernità secolare mette in questione la stessa idea di Dio, si parla della morte di Dio (Nietzche); del´eclisse di Dio (Buber), della crisi di Dio (Metz), di crisi epocale (Kung); della fine del periodo assiale, che termina con 6.000 anni di fede religiosa (Jaspers, Pànikkar); di religioni senza Dio (Metz); dell´assenza e del silenzio di Dio; della cultura dell´immanenza (Martin Velasco); JMR Tillard si chiede se siamo gli ultimi cristiani: i banchi delle chiese restano sempre più vuoti; quelli che assistono alla messa hanno sempre più i capelli bianchi; i seminari sono vuoti.
E Karl Rahner afferma che il cristiano del XXI secolo o sarà mistico o non sarà cristiano. Il Card. Kasper ha descritto molto bene questa situazione affermando che il Vaticano II è stato eccessivamente “ecclesiale”, mentre il problema di oggi è presentare i presupposti umani della fede e i problemi della fede in Dio.
Tutto questo ci fa capire che l´odierna crisi ecclesiale va molto più in là dei problemi della sessualità e della nomina dei vescovi; ma nasce dalla messa in questione dello stesso senso, della stessa idea di Dio. La crisi della chiesa non si riduce solo a cambi di strutture, ma a dare fondamento alla teologia.
Di fronte a questa situazione ha ancora senso oggi parlare di “sentire con la Chiesa”, di “sentirsi Chiesa”?
Senza la pretesa di essere esaustivo, proponiamo alcune piste di riflessone che, anche se tradizionali, molto volte sono rimaste dimenticate lungo la storia della Chiesa. Queste verità dimenticate si intersecano tra di loro, ma per maggior chiarezza le esponiamo separatamente.
3. ALLA RICERCA DI ALCUNE VERITÀ DIMENTICATE
3.1. Dio è più grande della Chiesa
Non si può parlare della Chiesa, senza prima parlare di Dio. Se i santi e le sante della storia sono stati uomini e donne della Chiesa, è perché erano prima uomini e donne di Dio, mistici che avevano avuto una profonda esperienza di Dio. Teresa di Gesù, che è stata una grande donna della Chiesa, nonostante tutte le difficoltà avute con la istituzione ecclesiastica, è libera di scrivere la sua famosa frase: “sòlo Dios basta”, “mi basta Dio”. Questa frase è il segno di una profonda, mistica, fondante esperienza del mistero di Dio, che supera ogni limite umano. Dio è più grande della Chiesa, di tutte le istituzioni e strutture della Chiesa pellegrinante.
Il Vaticano II lo afferma chiaramente in un testo del capitolo VII della “Lumen Gentium”: “Finché non ci saranno nuovi cieli e nuova terra (2 Petr. 3, 13), la Chiesa pellegrina, nei suoi sacramenti e istituzioni, che appartengono a questo tempo, porta con sè l´immagine di questo mondo che passa, e lei stessa vive tra le creature che al presente gemono tra i dolori del parto, in attesa della manifestazione dei figli di Dio (Rom. 6, 19-22)” (LG 48)
Per ciò stesso nel Credo Apostolico la Chiesa non vi è come una quarta persona della Trinità da adorare in ginocchio, ma la Chiesa entra nel credo al terzo posto, assieme alla professione di fede nello Spirito Santo. In realtà solo il Dio Trinitario, Padre, Figlio e Spirito, sono oggetto e termine della nostra fede, non direttamente la Chiesa. Quello in cui crediamo è la presenza dello Spirito Santo, che opera in modo speciale nella Chiesa (ndr. Chiesa=corpo mistico di Cristo, Chiesa è = a umanità segnata dallo Spirito che vive con amore), perdona i suoi peccati, è l´operatore della risurrezione della carne e ci dà la vita eterna. Più avanti torneremo sul vincolo tra chiesa e Spirito Santo. Qui vogliamo solo sottolineare la priorità teologale e teologica di Dio sulla Chiesa. Se la Chiesa è un mistero, lo è perché fa parte del misterioso progetto di Dio sul mondo.
La necessità di una mistagogia (Mistagogia è un termine di origine greca che significa più o meno introduzione nel mistero). Unendo tutto questo, con quanto dicevamo della attuale crisi di fede nel mondo secolarizzato, possiamo affermare che senza una profonda esperienza di fede nel mistero di Dio, assoluto, ineffabile, inafferrabile, abisso senza sponde, amore incondizionato, che ci si è fatto presente in Cristo, come vita e salvezza, senza questa esperienza fondante, non possiamo accedere alla Chiesa.
Quindi il compito più urgente della chiesa nei nostri giorni è quello di iniziare a questa esperienza personale e immediata di Dio, facilitare l´accesso alla mistagogia, senza della quale tutte le altre mediazioni ecclesiali non hanno fondamento.
Non si possono proporre dogmi o verità da credere, o norme morali da adempiere se non c´è stata prima una iniziazione ad una esperienza che ci porti a “bere al nostro proprio pozzo” (S. Bernardo, richiamato da Gustavo Gutièrrez) a scoprire in noi una sorgente d´acqua viva che zampilla fino alla vita eterna. (Giov. 4, 14)
Senza questa esperienza di fede, la nostra visione della Chiesa si ridurrà ad una semplice realtà intramondana, ad una organizzazione socio/culturale, una specie di ONG, un altro organismo umanitario o culturale, come l´UNESCO, l´ONU o la Croce Rossa. Questa è la visione di chiesa che solitamente ci offrono i mezzi di comunicazione sociale e corriamo sempre il rischio di accontentarci di questa percezione meramente esteriore e sociologica.
3.2. Priorità del Regno sulla Chiesa
In questi ultimi anni la teologia cristiana ha riscoperto l´importanza dell´escatologia e, in essa, la centralità del Regno di Dio nella cristologia.
Il centro della predicazione di Gesù di Nazaret non è stata la chiesa, ma il Regno (Mc.1, 15). Il Regno è il progetto trinitario di Dio di comunicare al mondo, misericordiosamente, la propria vita, cominciando col salvare la vita umana da ogni sofferenza e da ogni male.
Le sue parabole e miracoli sono segni del Regno che già comincia a farsi presente. (Lc.11, 20)
La nota frase del modernista A. Loisy, “Gesù predicò il Regno e venne fuori la chiesa”, può essere letta criticamente, come se la chiesa fosse nata non solo al margine, ma contro la volontà di Gesù. Ma possiamo darle anche una lettura positiva, nel senso che ci rende consapevoli che il Regno è più grande della Chiesa e che la Chiesa deve orientarsi verso il Regno, è seme del Regno (LG:5), suo simbolo, suo sacramento, suo segno profetico.
Esiste quindi una tensione tra la Chiesa e il Regno, e in questa tensione si snoda tutta la storia della Chiesa, i suoi errori e peccati,, perché è una chiesa pellegrina, che cammina verso l´escatologia del Regno di Dio, ma non ci è ancora arrivata. (LG, VII).
Questo significa che la chiesa non può restare chiusa in se stessa, non può essere ecclesiocentrica, ma il suo punto di vista deve essere l´andare oltre se stessa, verso fuori. Quindi la chiesa non può restare chiusa nei suoi membri, nella sua dottrina, nella sua liturgia, nei suoi sacramenti, nelle sue leggi, ma deve essere una chiesa a servizio del mondo, preoccupata non solo dei diritti dei suoi figli, ma di tutti i diritti umani.
In fondo non si tratta d´altro che di seguire l´esempio di Gesù che è venuto non ad essere servito, ma a servire (Mc. 10,45). È quanto Gesù espone nel suo programma missionario a Nazaret, quando dice che è stato unto dallo Spirito per annunciare la bella notizia ai poveri, la liberazione dei prigionieri, la vista ai ciechi e proclamare un anno di grazia (Lc. 4, 16-22). Manda anche i suoi discepoli ad annunziare il Regno, a curare i malati e a liberasre gli indemoniati (Lc. 9,1-6). Il Regno non è una bella e lontana utopia, astratta e generica, ma è qualcosa di concreto: liberare dalla sofferenza e da ogni male.
Perciò Gesù orienta la sua missione a dar vita, a liberare dalla sofferenza e dalla morte, ad annunciare il perdono e la grazia specialmente ai poveri, agli emarginati, agli esclusi dalla società: malati, peccatori, donne, bambini, gente mal vista dalle autorità d´Israele.
E quando nasce la Chiesa, dopo la pasqua e la discesa dello Spirito Santo, dovrà seguire la linea di Gesù. Per questo non si limita ad annunziare la Parola (Kerigma), nè a celebrare l´Eucaristia (liturgia), ma si mette a servizio dei poveri (diaconia) come ha ricordato Benedetto XVI nella sua enciclica “Dio è amore” (n.25)
Dal popolo di Dio al popolo povero. La teologia si è concentrata maggiormente sulla chiesa come istituzione e Popolo di Dio (laos) più che popolo povero ed emarginato (òchlos), per il quale Gesù compie i suoi miracoli, alimenta e perdona, perché sente compassione per loro.
Questo significa che lungo la storia la Chiesa è andata concentrandosi più su se stessa (laos) mettendo in secondo piano l´orientamento più vasto verso il Regno e i poveri (òchlos).
Quando Giovanni XXIII afferma, poco prima del Concilio, che la Chiesa deve essere principalmente Chiesa dei poveri, non fa altro che essere fedele al messaggio e alla vita di Gesù.
Ancora di più: durante la sua storia la Chiesa si è identificata essa stessa con il Regno di Dio, come se fosse già il Regno di Dio presente su questa terra. Questo si è reso chiaro quando l´istituzione ecclesiastica, i suoi ministri, le sue strutture si sono man mano sacralizzate, dimenticando il proprio carattere simbolico del Regno. La Chiesa della Cristianità, che è durata per tanti secoli, fino al Vaticano II, è un esempio di questa tentazione teocratica e davidica della Chiesa.
Altra conseguenza del fatto che il Regno è superiore alla Chiesa è che essa non possiede in maniera esclusiva la salvezza o lo Spirito, che è stato effuso su ogni uomo e attua al di là delle sue frontiere, non solo nelle altre chiese cristiane, ma in tutte le religioni e culture dell´umanità. L´espressione “fuori della Chiesa non c´è salvezza” non è altro che la manifestazione di questa triste identificazione della chiesa con il Regno di Dio.
In fondo, affermare che il Regno è superiore alla Chiesa è una conseguenza dell´affermazione antecedente che Dio è più grande della Chiesa. Questo non significa che la Chiesa non abbia significato o che non debba annunxiare il vangelo di Gesù a tutti i popoli, battezzare e celebrare l´Eucaristia. Significa unicasmente che tutto questo deve orientarsi verso il Regno di Dio, di cui la Chiesa è segno profetico, un segno “prognostico”, al dire di s. Tommaso; un “sacramento” come afferma il Concilio Vaticano II (LG: 1; 9; 48)
3.3. La chiesa è peccatrice.
Siamo così abituati a parlare e a setir parlare della “santa chiesa” che può sembrarci strana l´affermazione che essa è “peccatrice”. Questo scandalizza i settori più conservatori della chiesa, che la considerano “immacolata, senza macchie nè rughe”. Ma meraviglia anche i settori progressisti, per i quali la chiesa di Cristo deve essere fedele al vangelo; quindi una chiesa infedele al vangelo, non sarebbe la chiesa di Cristo.
La tentazione del puritanesimo. Lungo la storia non sono mancati gruppi puritani che chiedevano si cacciassero dalla chiesa i peccatori, che si scandalizzavano del fatto che la chiesa perdonava i peccati, che cercavano di separarsi dalla massa dei cristiani, per formare una chiesa di puri e santi, una chiesa dello Spirito.
Tertulliano, i montanisti, i novaziani, i donatisti, i catari, gli albigesi medievali, gli spirituali di Gioacchino da Fiore, i fraticelli francescani, gli ussiti, gli stessi riformatori del Secolo XVI, tutti questi criticarono duramente i peccati della chiesa e cercarono di edificare una Chiesa veramente santa, ai margini della chiesa corrotta del proprio tempo.
Ma il Vangelo ci dice che solo nella vita eterna saranno separati i cattivi dai buoni, mentre che adesso coesistono grano e zizzania (Mt. 13,24-30; 36-43); i pesci buoni con quelli cattivi (Mt. 13, 47-50). Nella chiesa ci sono peccatori, ai quali è offerto sempre il perdono.
Tutte le esortazione sul giudizio e il castigo finale, espresse in uno stile apocalittico, hanno l´unico scopo di invitare alla conversione. Quindi la chiesa che è pellegrina sulla terra, non solo ha in sè peccatori, ma è essa stessa peccatrice, perché essa non è un ideale astratto, ma una realtà concreta.
C´è una tendenza puritana in tutti quelli che cercano di occultare i peccati della chiesa. È strano che nella cupola di S. Pietro nel Vaticano vi siano le parole che Gesù, nel testo di Matteo, dice a Pietro “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” e si ometta il seguito, quando Gesù dice a Pietro “Mettiti dietro a me, satana, Tu mi sei di scandalo” (Mt.16, 23). Pietro è allo stesso tempo roccia solida e pietra di scandalo.
Se questo si afferma del primo pastore della chiesda, cosa non dovrà dirsi del resto dei fedeli? Dio, per realizzare il suo progetto ha scelto donne e uomini fragili e peccatori, “quello che è debole e disprezzato dal mondo, perché nessuno si vanti alla presenza di Dio” (1ª. Cor. 1, 26-29). Il peccato nella chiesa è legato alla sua dimensione umana.
Per questo i Padri della Chioesa, consapevoli di questo fatto doloroso, scandalo per molti, affermano che la chiesa è “casta meretrix”, cioé “casta prostituta”. Essi applicano alla chiesa le figure di prostitute dell´Antico Testamento: Racab (Jos 2, 1-21); Tamar (Gen.38; Mt. 1,3), la moglie di Osea (Os. 2); Babilonia (Apoc.17-21). Non è Lutero che ha detto che la chiesa è caduta nella cattività di Babilonia, ma sono i Padri della Chiesa primitiva che applicano a lei queste immagini.
Il Vaticano II, anche se evita il termine “chiesa peccatrice”, afferma chiaramente che la chiesa abbraccia nel suo seno i peccatori e che ha bisogno di una continua purificazione e conversione (LG: 8). Solo Maria è senza macchia e rughe (LG 65) gli altri offendiamo continuamente il Signore ed abbiamo bisogno continuamente di chiedere perdono (LG 40). Nel decreto sull´Ecumenismo si afferma che la chiesa ha bisogno non solo di continui purificazione e rinnovasmento, ma anche di continua “riforma” (UR 8) usando la stessa parola che rivendicavano i riformatori del Secolo XVI. E parlando dell´ateismo moderno si afferma chiaramente che molte volte i cristiani “hanno velato, piuttosto che rivelato il vero volto di Dio e della religione” (GS 19).
Per questo non possiamo considerare la Chiesa peccatrice come qualcosa esterna a noi, quasi che noi saremmo esenti da peccato. La Chiesa peccatrice si fa carico dei nostri peccati, che oscurano il suo volto e la rendono meno trasparente al vangelo.
Tutti siamo peccatori e abbiamo bisogno della misericordia di Dio. Non dobbiamo essere come i farisei, che si scandalizzavano che Gesù mangiasse con i peccatori e perdonasse i peccati. “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Raher commentando l´episodio di Gesù con l´adultera (Giov 8, 1-11), afferma che questa adultera è la Chiesa, la sua amata sposa, la santa Chiesa.
3.4. La Chiesa sotto la forza dello Spirito
La chiesa delle origini era molto consapevole che le sue origini e la sua vita erano legate allo Spirito. Questo Spirito, secondo l´evangelista Giovanni, fu effuso da Gesù sull´umanità nell´istante della sua morte “emisit spiritum”, e fu effuso sui discepoli già nel giorno di Pasqua (Giov 20, 19-23) Luca con uno schema narrativo più che storico, pedagogico, situa l´effusione dello Spirito nel giorno di Pentecoste (Atti 2, 1-13), dove, sotto i simboli del vento impetuoso e delle lingue di fuoco, si afferma quello che sarà lo Spirito nel futuro della Chiesa: forza, vita, calore, amore, comunicazione e comunione. Lo Spirito presente nella creazione e nell´Antico Testamento, fiorisce ora nella Chiesa. Gli Atti degli apostoli cono la descrizione di come lo Spirito fa crescere la chiesa nelle diverse culture, tra grandi difficoltà e persecuzioni. Tutto il Nuovo Testamento presuppone questa azione dinamica dello Spirito nella Chiesa.
Anche se agli inizi la Chiesa si sente strettamente legata a Gesù, tuttavia è convinta di essere nata non a Nazaret o Betlemme, ma a Gerusalemme, nella Pasqua e Pentecoste.
Più avanti svolgeremo il tema del rapporto della chiesa con Gesù. Ora vogliamo sottolineare che la Chiesa non è solo legata a Gesù, ma anche allo Spirito. Rahner afferma che una chiesa legata esclusivasmente all´incarnazione sarebbe troppo terrena, e correrebbe il rischio di mondanizzarsi e secolarizzarsi. Ci sono qui di due principi costitutivi della chiesa, il cristologico e il pneumatico, o delloSpirito, che sono come le due mani con cui il Padre ci modella a sua immagine e somiglianza, secondo l´espressione di Ireneo.
La dimenticanza dello Spirito. Ebbene lungo i secoli, specialmente a partire dal secondo millennio, è stata dimenticata la mano dello Spirito e si è evidenziata solo la mano del Figlio, e così Dio e restato monco. La teologia ha generalmente dimenticato lo Spirito Santo.
Nel secondo millennio la dottrina dello Spirito Santo è stata relegata all´ambito della vita devota dei fedeli (p. e. Negli inni allo Spirito Santo) o alle speculazioni telogiche sulla Trinità, inaccessibili alla maggior parte del popolo di Dio. Quanto alla Chiesa, sembrava che solo la gerarchia possedesse lo Spirito Santo, comunicandolo ai fedeli mediante la predicazione e i sacramenti.
Da questo consegue che il popolo diventa un elemento semplicemente passivo nella Chiesa. Nel secondo millennio non si parla di carismi, nè della partecipazione del popolo nella liturgia o nella vita della chiesa (nomina dei vescovi, pronunciamenti ufficiali). Quindi il laicato restò comletamente emarginato.
La chiesa orientale ha sempre accusato la chiesa d´occidente di “cristomonismo”, vale a dire di appoggiarsi unicamente a Cristo, dimenticando la dimensione dello Spirito. Un teologo laico moderno, invitato al Concilio Vaticano II, Paul Evdokimov, commenta che questa dimenticanza dello Spirito da parte del´Occidente ha fatto sì che nella Chiesa la gerarchia ecclesiatica si sia sostituita alla libertà profetica, alla divinizzazione dell´umanità, alla dignità del laicato e alla nascita di una nuova creatura. Vale a dire che la dimenticanza dello Spirito Santo favorisce una visione della Chiesa, praticamente identificata con le sue strutture visibili e concretamente con la gerarchia.
Più avanti torneremo su questo tema, ma ora vogliamo citare il testo di un discorso di un vescovo della cbiesa orientale, l´attuale Patriarca Ignazio IV di Antiochia, proniunziato a Upsala, nel 1968, al Consiglio Ecumenico delle Chiese: “Senza lo Spirito Santo Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, il vangelo è lettera morta, la chiesa una semplice organizzazione, l´autorità un dominio, la missione una propaganda, il culto una semplice evocazione e l´attività del cristiano una morale da schiavi. Ma nello Spirito Santo e in una sinergia indissolubile con Lui, il mondo è sostenuto e geme i dolori del parto del Regno, l´uomo lotta contro l´egoismo, il Cristo Risorto sta qui, il vangelo è forza di vita, la chiesa è segno della comunione trinitaria, l´autorità un servizio liberante, la missione una Pentecoste, la liturgia memoriale e anticipo del Regno, l´attività umana è divinizzata”.
Da tutto questo ne consegue che la dimenticanza dello Spirito Santo riduce la vita del cristiano e della chiesa a sottolissione e obbedienza alla gerarchia, a ritualismo e a moralismo. Può forse meravigliare che questa forma di comprendere e vivere la fede nella Chiesa sia oggi sia entrata in crisi?
Tuttavia lo Spirito si muove e, nonostante questa dimenticanza della teologia, non ha smesso di operare nella Chiesa. Tutta la storia della chiesa è piena di questa presenza misteriosa, molte volte anonima, sempre sconcertante. Tutti i movimenti profetici sorti nella chiesa sono frutto dello Spirito: il martirio dei primi secoli; il monachesimo quando la chiesa diventa costantiniana; i movimenti laici del medioevo a favore della povertà; la Riforma, sia protestante (Lutero, Calvino, T. Munster), sia cattolica (Ignazio, Teresa, Giovanni della Croce); i movimenti sociali moderni che rivendicano nella società uguaglianza, fratellanza, libertà; i movimenti teologici che anticipano il Concilio Vaticano II (movimento biblico, patristico, liturgico, ecumenico, pastorale, sociale); i segni dei tempi dei nostri giorni (femminismo, ecologia, lotta per la pace, il rispetto per culture e religioni, movimenti di liberazione) etc.
La santità della chiesa, i suoi martiri, i suoi missionari, i suoi mistici, i suoi artisti e pensatori, l´eroismo di tanta gente anonima che vive ogni giorno nel silenzio la propria fede; la fedeltà nel matrimonio e nella vita religiosa: la generosità di tanti, che lavorano per i poveri; il sacrificio delle mamme per trasmettere la fede ai propri figli; l´entusiasmo di tanti giovani nelle forme più diverse di volontariato; la spiritualità delle altre chiese cristiane; la vitalità di tutte le religioni sono frutto dello Spirito.
Perfino la chiesa gerarchica, che tacitava lo Spirito nella sua dottrina, molte volte si è vista obbligata a riconoscerlo presente e a non estinguerlo (1ª Tess. 5,19), anche quando lo Spirito era una critica per la stessa struttura ecclesiale. Innocenzo III, al vertice della teocrazia pontificia della chiesa medievale, finisce per approvare il carisma di Francesco d´Assisi, che è una critica impicita ma chiara alla chiesa del potere.
Per fortuna il Vaticano II è tornato a riconoscere questa presenza dello Spirito nella chiesa; è lui che le da vita, la guida verso la pienezza, l´arrichchisce di doni, la ringiovanisce e la conduce all´unione finale con il suo Signore (LG 4).
Dobbiamo mettere in relazione con lo Spirito tutto quello che abbiamo detto prima. È lo Spirito che ci porta alla fede in Dio e in Cristo, e ci da la possibilità di sperimentare da dentro il Mistero. È lo spirito che conduce la Chiesa a realizzare il Regno di Dio al di là delle sue frontiere; è lo Spirito che garantisce la santità della chiesa, nonostante la sua prostituzione e i suoi peccati, facendo sì che il peccato non trionfi nella chiesa, che “le porte degli inferi non prevalgano su di essa (Mt. 16, 18) e che essa non diventi una sinagoga sterile.
È vero che la Chiesa non possiede l´esclusiva dello Spirito, ma lo Spirito risiede in essa in una forma speciale. Ireneo lo esprime dicendo: “Dove sta la chiesa, là sta lo Spirito e dove sta lo Spirito di Dio, là sta la chiesa e ogni grazia”
Oggi possiamo dire che la Chiesa è sacramento dello Spirito. In conclusione, il problema che si presenta oggi al credente è questo: crediamo che lo Spirito non solo ha fatto nascere la Chiesa in passato, ma che continua guidandola e accompagnandola oggi, in mezzo al nostro mondo moderno, secolarizzato, globalizzato e postmoderno? Se non crediamo alla presenza dello Spirito nella concreta chiesa di oggi, non ha senso l´appartenere alla chiesa e il sentirsi chiesa.
Nessun cattolico può dubitare che bisogna essere in comunione pastorale con il Papa, vescovo di Roma e con gli altri vescovi che sono successori degli apostoli e questo implica, tra l´altro, la docilità al magistero. Anche se in una sana teologia si deve distinguere il magistero infallibile da quello non infallibile, di fronte al quale possono esservi legittimi motivi per dissentire.
3.5 La Chiesa non si identifica con la gerarchia
Il rischio della “gerarcologia”
Ma quello che è successo lungo i secoli, specialmente nel secondo millennio, è che la così detta gerarchia si è assolutizzata e sacralizzata e così è finita con l´identificarsi con la totalità della chiesa: “la gerarchia “è” la chiesa; la chiesa “è” il Papa. Spariscono i termini di Popolo di Dio, non diciamo del laicato.
C´è un abisso tra chierici e laici; il sacramento dell´ordine divide la chiesa in due settori ben definiti e contrapposti: quelli che hanno il potere di insegnare, amministrare i sacramenti e comandare; e quelli che hanno solo il compito di obbedire, tacere e lasciarsi guidare come docile gregge.
La chiesa è una società di diseguali (Pio X).
Così, come denunciò a suo tempo il futuro Cardinale Yves Congar, la ecclesiologia divenne “gerarcologia”
Tragiche conseguenza.
Come abbiamo visto prima questo deriva dal fatto di aver dimenticato la dimensione dello Spirito, come origine, assieme a Cristo, della chiesa e di essere giunti a una visione unilaterale e impoverita della chiesa, ridotta a istituzione, struttura visibile, gerarchia.
Le conseguenze di questa riduzione sono state gravissime lungo tutta la storia della chiesa, fino ai nostri giorni. Nella forma corrente di parlare, non solo per i mezzi di comunicazione sociale, ma anche per i cattolici, la parola “chiesa” equivale a gerarchia, papa, vescovi. Così siamo soliti dire: “la chiesa ha proibito... la chiesa ha condannato... la chiesa ha criticato il governo... riferendoci a interventi del Papa, di una Conferenza episcopale o di un singolo vescovo. Molti scrittori, teologi e storiografi della chiesa cadono nello stesso errore.
Non neghiamo che la gerarchia possa a volte rappresentare tutta la chiesa. Però questo linguaggio è ambiguo e porta alla confusione, perché non possiamo accettare che la gerarchia sia idetificata con la totalità della chiesa, così come non possiamo accettare che la chiesa, simbolo del Regno, si identifichi con esso.
Di qui si capisce che le difficoltà, le critiche, le riserve dei fedeli nei confronti della gerarchia, diventino ipso facto difficoltà nei confronti della “Chiesa di Cristo”.
Ma per fortuna la Chiesa è più ampia della gerarchia, è tutta la comunione dei battezzati e dai segnati dallo Spirito, il Popolo di Dio, come ha affermato il Vaticano II, anteponendo nella Lumen Gentium il capitolo sul Popolo di Dio (LG II) a quello sulla gerachia (LG III) e a quello sui laici (LG IV) e sulla vita religiosa (LG VI).
Alcuni dati della storia.
Bernanos, nella sua Lettera agli inglesi ha una frase di grande profondità teologica “Non sono gli stessi, gli uomini che Dio ha scelto per conservare la sua Parola e quelli che ha scelto per metterla in pratica?” Questo è avvenuto già nell´Antico Testamento e continua a realizzarsi nella storia della chiesa. È la parabola del buon samaritano, là dove il sacerdote ed il levita schivano il ferito lungo la strada per non contaminare la propria purità legale (Lc. 10, 29.37)
La storia ci dice che molte volte, non solo in passato, ma anche al presente la gerarchia è diventata segno di scandalo per la chiesa. E la chiesa è andata avanti, grazie ai settori non gerarchici della chiesa.
Il Card. Newman, grande conoscitore della storia della chiesa, affermava di essere rimasto stupito allo scoprire che, verso il IV secolo, molti vescovi caddero nell´eresia dell´arianesimo, mentre il popolo semplice aveva conservato la fede ortodossa.
Anche la storia delle missioni riconosce che, lungo i secoli, i cristiani del Giappone mantennero la fede anche senza sacerdoti. Già alcuni Padri della Chiesa, come Attanasio e Ilario, avevano affermato che “le orecchie dei fedeli sono più sante delle bocche dei sacerdoti”, vale a dire che i fedeli interpretano bene anche gli insegnamenti non corretti del clero.
Opportunamente il Vaticano II ha rivendicato il valore della fede del popolo e il “senso della fede” (sensus fidelium) e arriva a dire che questo senso è infallibile, quando è in comunione con la tradizione di tutta la chiesa (LG 12). Gli stessi fedeli godono dei carismi dello Spirito (1ª. Cor 12, 11) a servizio di tutta la chiesa (LG 12). Il concilio dirà pure che i laici hanno il diritto e il dovere di manifestare il proprio parere su argomenti che riguardano il bene della Chiesa, citando un testo di Pio XII che afferma che spesso le iniziative migliori nascono dalla base (LG 37 – nota 7)
L´accoglienza.
Anzi la teologia moderna (Congar, Grillmeier) ha riscoperto l´importanza che, nella chiesa dei primi secoli, aveva il fatto che i fedeli assimilassero vitalmente quanto proponeva loro la gerarchia. Questa accoglienza non era semplicemente obbedienza, ma assenso del cuore, come “l´amen” della liturgia. Quando si celebrò il Concilio di Efeso nel 431, i fedeli attendevano alle porte della basilica l´uscita dei vescov. E quando essi dissero che avevano approvato che Maria era la Madre di Dio, il popolo proruppe in un applauso, vale a dire accolse il “dogma” con gioia e soddisfazione.
Diverso è quando il popolo non “accoglie” una dottrina, ma la “contesta”; e questo non indica di per sè disobbedienza, ma che in quella esposizione dottrinale c´è qualcosa di inammissibile, incompleto, inopportuno, parziale.
Pensiamo a quanto è successo quando Paolo VI pubblicò l´enciclica Humanae vitae sul controllo delle nascite.
La storia ci conferma che nei momenti più difficili è stato il polo profetico a salvare la chiesa. Ripetiamo quanto abbiamo già detto prima: “il martirio dei primi secoli, il monachesimo quando la chiesa diventa costantiniana; i movimenti laici del medioevo a favore della povertà; la Riforma, sia protestante (Lutero, Calvino, T. Munster), sia cattolica (Ignazio, Teresa, Giovanni della Croce); i movimenti sociali moderni che rivendicano nella società uguaglianza, fratellanza, libertà; i movimenti teologici che anticipano il Consilio Vaticano II (movimento biblico, patristico, liturgico, ecumenico, pastorale, sociale); i segni dei tempi dei nostri giorni (femminismo, ecologia, lotta per la pace, il rispetto per culture e religioni, movimenti di liberazione) quelli che affermano che “una chiesa altra” è possibile, etc. Tutto questo è frutto dello Spirito.
La dottrina e la prassi dell´accoglienza implica che tutto il corpo della Chiesa sia animato dalloSpirito, sia attivo e partecipante e non semplicemente passivo. È lo Spirito che fa della chiesa una “comunione trinitaria” e un “dinamismo profetico” a servizio del Regno. Perché non riconosciamo la santità tante volte nascosta e anonima della fede dei poveri, delle vecchiette che vanno a messa magari recitando il rosario; dei preti del popolo che mantengono la fede anche tra ristrettezze economiche; dei martiri innocenti del passato e del presente, delle famiglie autenticamente cristiane, ecc? Le canonizzazioni ufficiali romane non scoprono nè riconoscono tanta santità nascosta del popolo di Dio.
3.6. La Chiesa è la Chiesa del Gesù storico e povero di Nazaret.
Quanto detto finora resterebbe incompleto se non aggiungessimo che la Chiesa è strettamente legata al Signore Gesù, a Cristo Risorto, è la Chiesa di Cristo, si basa su di Lui (Ef. 2, 10; Mt. 21, 33-46). Questo si capisce meglio se evidenziamo che la storia della salvezza è attraversata dalla legge dell´incarnazione. Lo Spirito non si oppone a Cristo, anzi è lui che rende posibile l´incarnazione di Gesù e lo guida durante tutta la sua vita. È lo Spirito che fa nascere la chiesa e continua l´opera di Gesù nella storia.
Vale a dire che Dio non abbandona al suo destino la creazione, ma interviene nella storia, prima preparando il popolo d´Israele, poi nell´Incarnazione di Gesù. (LG 9).
Però la chiesa, per il fatto che è nata nella Pasqua e Pentecoste, corre il rischio di identificarsi tanto con il Cristo glorioso e risorto, da dimenticare l´incarnazione e da credere che sia già giunto il Regno di Dio. Infatti nel Novo Testamento ci sono alcuni testi (Atti, Efesini, Colossesi) che potrebbero indurre a un certo trionfalismo ecclesiale.
I pericoli della Chiesa della Cristianità. Durante le persecuzioni dell´impero romano i cristiani morivano martiri negli anfiteatri e nei roghi e la Chiesa non correva il pericolo del trionfalismo. Ma quando la chiesa fu riconosciuta come religione ufficiasle dall´impero, ai tempi di Teodosio (380), quando lascia la clandestinità e le catacombe, il pericolo torna a insidiarla.
Eusebio di Cesarea, vedendo il banchetto che l´imperatore Costantino offrì ai vescovi riuniti nel Concilio di Nicea, nell´anno 325, crede di vedere già presente il Regno di Dio. Altri osservatori più acuti di lui si accorgono presto dell´ambiguità della situazione di una chiesa nata con il costantinismo e dei rischi di questa stretta unione tra chiesa e impero.
Così S. Ilario afferma di Costantino che “non ci uccide di spada, ma ci accarezza il ventre, riesce ad essere persecutore senza far martiri”. Conseguenza di questa ambigua situazione è che la prima a identificarsi con il Regno di Dio è la gerarchia, divenuta potente.
Dall´alto del suo potere non solo economico, ma anche politico, morale e religioso, la gerarchia condanna al rogo gli eretici, promuove le crociate, fa proselitismo, distrugge culture e religioni, affermando che sono opera del demonio, si allea con i grandi di questo mondo, per essere da loro difesa, distrugge principi, scomunica, confonde l´onore di Dio con la sua gloria, col proprio onore.
Tornare al Vangelo. Il rischio è dimenticare il mistero dell´incarnazione di Gesù, il suo svuotamento o kènosis di cui parla Paolo (Fil. 2, 1-11) e in genere tutta la vita del Gesù storico trasmessa dai vangeli: la sua nascita povera a Betlemme, la sua vita di umile carpentiere durante trent´anni, la sua predicazione contro la ricchezza e il potere, la sua opzione per gli emarginati, la sua preoccupazione di dar sollievo alle sofferenze del popolo (òchlos), che lo toccavano profondamente, i suoi conflitti continui con le autorità religiose d´Israele, la sua morte in croce, nudo, come bestemmiatore maledetto, tra due sovversivi.
La Chiesa tende a dimenticare di essere la chiesa del Gesù povero di Nazaret, la chiesa del Crocifisso, che il suo messaggio non è quello della sapienza di questo mondo, ma quello della croce (1ª. Cor 1, 17-31). La stessa risurrezione di Gesù non permette di svoncolarsi dalla sua croce: il risorto è il crocifisso, le sue piaghe restano visibili nel suo corpo glorioso (Giov. 20, 25-29).
Si capisce il motivo per cui tutti i movimenti profetici sorti nella chiesa lungo la sua storia abbiano chiesto un ritorno alla chiesa delle origini, fedele alla Parola, povera, umile, evangelica, comunitaria, accogliente, rispettosa, vicina al popolo povero; insomma un ritorno alla chiesa del Crocifisso.
Per questo la proposta profetica di Giovanni XXIII poco prima del Vaticano II, che la chiesa fosse soprasttutto la chiesa dei poveri, anche se ad alcuni poté sembrare rivoluzionaria, non era in fondo che sommamente evangelica, legata alla trasdizione più genuina della chiesa. Bisogna confessare che questa idea di Giovanni XXIII non fu accolta nei testi conciliari, eccetto alcune allusioni sporadiche (LG 8; GS 1) I vescovi e i teologi più influenti nel concilio appartenevano al mondo mitteleuropeo e nordamericano, ed erano più preoccupati del come dialogare con il mondo sviluppato e secolare della modernità che con i poveri del Tezo Mondo.
Le interpretazioni delle chiese del Terzo mondo. Saranno le chiese del Terzo mondo e in concreto le chiese latinoamericane, quelle che porteranno avanti l´utopia di Papa Giovanni di una chiesa specialmente dei poveri.
Le chiese del primo mondo non possono chiudersi in se stesse, nè credere che gli unici problemi della chiesa siano legati alla modernità, spesso unita alla borghesia. La maggior parte della umanità e della stessa chiesa vive nei paesi poveri del Sud, dove la vita di ogni giorno non è sicura, dove bisogna lottare per la sopravvivenza,, per il pane quotidiano: mancano case, attenzione sanitaria, scuole, la durata della vita è breve, manca il lavoro, spesso vi sono governi dittatoriali e corrotti, si vive sotto la dipendenza economica dei paesi ricchi e delle loro imprese multinazionali; le culture primitive vengono emarginte; le donne sono emsrginate e sono quelle che portano il peso maggiore della povertà; ci sono bambini di strada e bande giovasnili che cercano di sopravvivere a volte con la violenza; la natura è sfruttata a favore delle compagnie straniere; ci sono lotte tribali e violenze di guerriglieri.
E tuttavia in questi paesi ci sono grandi valori umani, culturali, religiosi e concretamente in America Latina predomina la fede cristiana e la chiesa cattolica ha vissuto un periodo di vera esplosione dello Spirito, dopo il Vaticano II. Senza cadere in trionfalismi che ci allontanerebbero dalla chiesa di Gesù di Nazaret, possiamo però testimoniare alle altre chiese quello che il Signore ha fatto per mezzo della chiesa latinoamericana.
Si è tornati alla chiesa del Gesù storico e povero di Nazaret, e questo suppone il recupero di una serie di categorie: la centralità del Regno di Dio nella predicazione di Gesù, la sua opzione per quelli la cui vita è minacciata, la sua opposizione al sistema politico (la Pax Romana) e religioso (la Teocrazia giudea), che lo condannano a morte. La resurrezione di Gesù è segno che il Padre approva le sue scelte e si mette dalla parte delle vittime.
Si è anche ricuperata l´importanza della sequela di Cristo, come categoria centrale del cristianesimo.
Nella prassi ecclesiale, le conferenze dell´episcopato americano in Medellin (1968) e Puebla (1979) hanno ascoltato il grido del popolo oppresso e hanno fatto un opzione profetica preferenziale per i poveri. Tra i vescovi sono sorte figure straordinarie, veri Padri santi della Chiesa, che senza essere teologi di professione, si sono avvicinati al popolo e hanno fatto opzioni pastorali davvero evangeliche in difesa dei poveri e degli esclusi; denunciandone le ingiustizie e le morti e promuovendo una nuova società fratena e giusta.
Questi santi Padri della chiesa latinoamericana, veri Padri della fede e veramente santi, furono accusati da molti di marxismo e non furono compresi spesso neppure dai propri fratelli nell´episcopato e da Roma; però restarono fedeli al vangelo e al loro popolo fino alla fine, anche dando la propria vita per le loro pecore, come Angelelli, Romero e Gerardi.
Assieme ai vescovi e in strettsa comunione con loro, altri settori della chiesa hanno cominciato un nuovo stile di essere cristiani e di essere chiesa. Nascono così le “Comunità Cristiane di Base” tra i poveri, molti laici, a partire dalla propria fede, si impegnano per la trasformazione della società, con la loro presenza sociale e politica; altri uomini e donne assumono responsabilità nella pastorale della chiesa (ministri della Parola, catechisti), molti gruppi di vita religiosa, soprattutto femminile, si inseriscono tra i poveri nei quartieri periferici delle città, nelle campagne, tra indigeni e afroamericani, minatori, molti sacerdoti si avvicinano al popolo e condividono la loro vita e tra di loro ci sono martiri per la giustizia del Regno.
La teologia latinoamericana della liberazione accompagna questi processi, riflette su di essi, restituisce la Bibbia al popolo e affronta persecuzioni e anche martirio.
Certo, a partire dagli anni´90 le cose son cambiate sia nel sociale che nella chiesa. Però il vissuto degli anni´70 –´90, costituisce un segno di speranza per tutta la chiesa, che è possibile tornare alle lorigini evangeliche, al Gesù di Nazaret, alla chiesa dei poveri. Lo Spirito non cessa di essere presente e di agire nella Chiesa!
3.7. Conclusione
Concludendo questo lungo percorso attraverso alcune verità dimenticate, possiamo affermare che la chiesa è certament inferiore a Dio e al Regno, è umana e divina, è santa e peccatrice, non si identifica con la gerarchia, sta sotto la forza dello Spirito ed è la chiesa di Gesù di Nazaret. È un mistero che fa parte del progetto della Trinità per il mondo (LG 1), sacramento universale di salvezza. (LG 1; 9; 48).
4. ATTEGGIAMENTI CRISTIANI DI FRONTE ALLA CHIESA D´OGGGI
4.1. Riconoscenza e amore
Non sarebbe giusto fermarci solo agli aspetti negativi della Chiesa del passato e della Chiesa d´oggi, senza riconoscere tutto quello che abbiamo da lei ricevuto, anche se tra contradizioni e incoerenze. Grazie alla Chiesa abbiamo ricevuto la fede cristiana, il vangelo, i sacramenti, dal battesimo all´eucaristia e da lei speriamo di ricevere anche l´unzione dei malati. La Chiesa ci ha insegnato a pregare, a perdonare e a chiedere perdono, ad amare tutti, specialmente i più bisognosi, ad avere fiducia. Ci ha insegnato l´amore filiale verso il Padre, a cercare prima il Regno di Dio, a sperare nella risurrezione finale. Ci ha insegnato a pregare la Madonna, a venerare i santi, a imitare le loro virtù. Essa dà senso alla nostra vita, al lavoro, alla sofferenza alla stessa morte. È dovuto in gran parte alla Chiesa se non abbiamo una visione magica o fatalistica del mondo ma segnata da speranza; se lavoriamo per migliorarlo e far sì che sia più umano e più giusto.
L´amore, la solidarietà, il senso di giustizia e di libertà, la ricerca della pace, la riconciliazione e il perdono, la valorizzazione della ragione, della scienza delle culture, si alimentano degli insegnamenti evangelici che la Chiesa ci ha trasmesso.
Questa riflessione teologica deve aiutarci ad assumere atteggiamenti pratici nella situazione odierna di inverno ecclesiale. Non daremo nuove regole per sentirsi chiesa, ma possiamo offrire alcune piste che orientino la nostra realtà e i nostri doveri. Lo Spirito del Signore ci aiuterà a discernere come potremo renderle concrete nei diversi contesti.
La maggior parte dei diritti umani che professiamo (il diritto ad una vita degna, alla libertà, al rispetto delle minoranze, al rispetto di ogni persona) hanno nella Chiesa la loro radice ultima, anche se nell´odierno mondo secolarizzato molti non lo riconoscono.
Un piccolo racconto del Nobel russo, Alexander Solzhenitsin, intitolato La casa di Matrona può servirci come simbolo narrativo di quanto stiamo dicendo. In un piccolo paese russo vive Matriona, una donna anziana, povera, che possiede solo due capre. Però Matriona aiuta i più poveri del popolo, insegna catechismo ai bambini, dà consigli alle coppie in crisi, quando c´è un matrimonio aiuta a preparare il pranzo, quando c´è qualche problema è sempre disoponibile ad aiutare una famiglia che soffre.
Un giorno muore Matriona e solo allora la gente si accorge che lei era davvero l´anima della comunità. Finisce qui la breve storia, ma potrebbe essere una piccola parabola della Chiesa. Cosa sarebbe l´umanità, noi stessi, senza la chiesa?
4.2. Fedeltà critica
Evidentemente non si capirebbe quanto abbiamo detto prima, se si traesse la conclusione che il nostro posto nella chiesa si riduce a obbedire, tacere e lodare quanto accade in essa. La obbedienza e la fedeltà ai pastori e al loro magistero dottrinale è essenziale per il cristiano. Si è sempre insistito su questo. Ma questa fedeltà deve essere matura, critica ed anche conflittuale.
L´autorità, anche a quella ecclesiale, ha il compito di conservare la tradizione, l´equilibrio di forze, l´armonia, la coesione del gruppo; non è suo compito aprire nuove piste e nuove strade.
L´autorità non aspira al cambiamento, preferisce lo status quo. Perciò difficilmente i meccanismi di cambiamento nascono dai vertici. Anzi, l´autorità frena i cambiamenti, condanna e colpevolizza i dissidenti, li accusa di disobbedienza. Presenta perfino come intangibili problemi che invece sono discutibili.
Bisognerebbe tener presente l´affermazione del Vaticano II: in molti problemi, anche gravi, non sperino i fedeli di aver risposte dai propri pastori. (LG 43).
4.3. Sperare contro ogni speranza.
I cristiani scomodi La storia della Chiesa insegna che molti passi avanti si sono fatti grazie a questi dissidi, trasgressioni ed anche disobbedienze. Molti cristiasni scomodi ottennero progressi nei differenti campi della teologia e della prassi cristiana.
La forma personalizzata di celebrare il sacramento della penitenza, chiamata in seguito confessione individuale, introdotta dai monaci irlandesi, all´inizio fu totalmente respinta dall´autorità ecclesiastica, che voleva conservare la rigida penitenza canonica primitiva, finché finì per diventare la prassi corrente nella chiesa cattolica. Si potrebbero fare molti altri esempi.
La storia insegna anche che molte dottrine insegnate dalla chiesa furono in seguito ritrasttate.
Pensiamo per esempio al alcune dichiarazioni della Commissione Biblica, come quella che affermava che Mosè era l´autore del Pentateuco; o come ad altre affermazioni del magistero che condannavano la vaccinazione come contraria alla natura. Questo ormai è di dominio comune. Da ciò si deduce che la fedeltà al magistero può e incluso deve essere critica. Per questo il Card. Ratzinger nella presentazione della Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo non ebbe dubbi ad affermare che “la teologia non è semplicemente una funzione ausiliare del magistero; non deve limitarsi a trattare argomenti a favore di quanto afferma il magistero”, perché in questo caso magistero e teologia diverrebbero un´ideologia unicamente desiderosa di conservare un potere.
Questi cristiani scomodi non sono dissidenti “della” chiesa, poiché conservano la propria fedeltà e comunione con essa, ma “nella” chiesa, dove ci sono molti argomenti non vincolati e liberi. Questo atteggiamento è quello che la teologia chiama “accoglimento”, che può manifestarsi anche come rigetto e dissidenza. Questo senso critico e di frontiera è causa di molte tensioni e sofferenze.
Anche Ignazio ebbe difficoltà con il Card. Caraffa e quando questi fu fatto papa con il nome di Paolo IV, Ignazio fu preso da spavento. Si ritirò in cappella a pregare e da lì uscì sereno. Gli ultimi anni della vita di Ignazio furono un´autentica notte oscura ecclesiale, perché doveva obbedire a un uomo che non aveva mai dimostrato affetto nè per lui nè per la Compagnia, che non aiutò affatto il Collegio Romano, che versava in grandi difficoltà, che dopo la morte di Ignazio tentò di introdurre “il coro” nella Congregazione e non dubitò di dichiarare Ignazio “un tiranno”. Ebbene la sua ultima volontà sul letto di morte fu mandare il suo segretario a chiedere la benedizione di Papa Paolo IV, un uomo che abrebbe volentieri eliminato la Compagnia. Ignazio morì con la benedizione di Paolo IV.
Teresa di Gesù, che ebbe grandi conflitti con la gerarchia del suo tempo, non rinnegò mai la sua appartenenza alla chiesa, e alla fine della vita poteva esclamare “finalmente muoio figlia della chiesa”.
Nel secolo XX abbiamo la testimonianza di grandi uomini, molti dei quali teologi, che soffrirono molto nella chiesa e a causa della chiesa, eppure si mantennero fedeli fino alla morte.
Henry De Lubac, destituito dalla sua cattedra di teologia di Lyon-Fourvière, ai tempi di Pio XII dopo l´enciclica Humani generis (1950) in questa situazione di sospetto ed emarginazione ecclesiale scrisse il suo libro Meditazioni sulla Chiesa che è una testimonianza della sua fede e del suo amore per la Chiesa. Poi divenne teologo del Vaticano II e infine fu nominato cardinale da Giovanni Paolo II.
Un altro grande teologo, il dommenicano Yves Congar, anche lui destituito dalla sua cattedra di La Saulchoir-Paris, le stesse circostanze di De Lubac; ci ha lasciato nel suo Diario la testimonianza struggente della sua sofferenza all´essere condannato dal Santo Ufficio e perfino esiliato dalla Francia: “Mi hanno distrutto praticamente. Con la misura delle loro capacità mi hnno distrutto. Mi hanno privato di tutto quello in cui ho creduto a a cui avevo dedicato la mia vita: l´ecumenismo (dal 1939 non ho fatto niente o quasi niente), insegnamento, conferenze, attività con i sacerdoti, collaborazioni a Témoignage chretien, etc. Partcipazione ai grandi congressi (intellettuali cattolici, ecc,). Non hanno toccato il mio corpo; all´inizio non hanno toccato la mia anima, non mi è stato chiesto niente.
“Ma la persona di un uomo non si limita né alla sua pelle né alla sua anima. Ma, quando quest´uomo è un apostolo intellettuale, lui “è” la sua attività, “è” i suoi amici, le sue riunioni “è” la sua irradiazione normale. Tutto questo mi è stato tolto. Hanno calpestato tutto questo e così mi hanno ferito profondamente. Mi hanno ridotto a niente e, per conseguenza, mi hanno distrutto. Quando incerti momenti ricordo quello che avevo sognato essere e fare, quello che avevo iniziato a realizzare, cado in preda di un immenso sconforto”.
Congar non si lascia trasportare dallo sconforto o dall´amarezza, continua a lavorare dall´esilio, e una volta riabilitato da Giovanni XXIII e nominato perito conciliare, sarà uno dei grandi teologi del Vaticano II, e alla fine della sua vita accetterà la nomina a cardinale di Giovanni Paolo II.
K. Rahner, anche se non dovette rinunciare alla sua cattedra di Innbruck, ebbe grosse difficoltà con Roma, che gli impose una censura previa a tutti i suoi scritti e fu un grande uomo di Chiesa. Basta una testimonianza: “ La chiesa che seviamo, a cui abbiamo consacrato la nostra vita e per la quale ci consumiamo, è la chiesa pellegrina, la chiesa dei peccatori, la chiesa che per conservarsi nella verità, nell´amore e nella grazia di Dio, ha bisogno del miracolo quotidiano e straordinario di questa stessa grazia. Solo vedendola così potremo amarla in forma adeguata”.
Un altro grande teologo. Il moralista Bernard Haring, redentorista, che ebbe a soffrire inenarrabili difficoltà con Roma, fino a dire che preferiva gli intrerrogatori degli agenti di Hitler a quelli della Curia Romana, professa fino alla morte un grande amore per la chiesa: “Amo la Chiesa, perché Cristo la ama, anche nei suoi elementi più lontani. La amo anche quando scopro atteggiamenti e strutture che giudico non in armonia col vangelo. La amo così com´è, perché anche Cristo mi ama con tutti i miei difetti, con tutte le mie ombre, e mi dà la spinta costante per arrivare ad essere quello che corrisponde al suo piano di salvezza; comminiamo su questa linea e pensiamo grati a tutti ciò che è sbocciato e sboccia ancora nella chiesa”
Finalmente Padre Arrupe, uno degli uomini più profetici negli anni del Vaticano II e più devoto al Papa, soffre verso la fine della sua vita una notte oscura. Questa cominciò già ai tempi di Paolo VI, ma si aggravò con Giovanni Paolo II.
Arrupe desiderava rinunciare al suo generalato nella Compagnia di Gesù e convocare una Congregazione Generale nell´anno 1980,, ma Giovanni Paolo II non glielo permise. In agosto del 1981 Arrupe, al ruo ritorno dalle Filippine, soffre un attacco cerebrale che gli toglie la parola e nomina Vicario Generale il P. V. O´ Keef. Nell´ottobre dello stesso anno riceve una lettera del Papa nella quale gli si comunica che il Papa, al posto del vicario generale nominato da Arrupe, nomina come suo Delegato Pontificio per la Compagnia P. Paolo Dezza e che al momento slitta ogni convocazione di Congregazione Generale.
Arrupe, che non può parlare riceve la notizia piangendo: in fondo si squalifica il suo governo e si interviene d´autorità nella Compagnia.
Solo dopo due anni di calvario nel 1983 può riunirsi la Congregazione nella quale Arrupe da le sue dimissioni e viene nominato P. Kolvenbach. Padre Arrupe finisce i suoi giorni il 1991 nell´infermeria di Roma, dope dieci anni di silenzio e di preghiera, sempre sorridente, offrendo la sua vita per la Chiesa.
Bisogna sperare contro ogni speranza. E speriamo che il deserto fiorirà, e che dopo l´inverno tornerà la primavera.
Il noto pensatore e filosofo francese Roger Garaudy racconta in uno dei suoi libri questo fatto storico. Lui apparteneva da alcuni anni al comitato del partito comunista francese, con tendenza filorussa. Nella primavera del 1968, quando i carri armati russi schiacciarono la primavera di Praga, Garaudy criticò pubblicamente l´azione del partito comunista russo. Come conseguenza di questo fu espulso dal Partito Comunista francese, notizia che i media francesi trasmisero in diretta.
Era mezzogiorno e Garaudy pensava di dove andare a mangiare. Non gli garbava l´idea di andare a mangiare tutto solo in uno dei ristoranti parigini. Neppure gli sembrava opportuno tornare a casa dalla sua seconda moglie, con la quel viveva da tempo. Pensò di andare a casa della prima moglie, da cui si era separato da anni e che viveva sola. Entrando in casa e passando alla sala da pranzo, vide con sorpresa che la tavola era già imbandita con due coperti preparati. Domandò a sua moglie se aspettava qualcuno a pranzo, perché non voleva creare disturbo. Lei rispose:”Aspettavo te, perché ho ascoltato stamattina che ti avevano espulso dal partito comunista francese e ho pensato che, in questi frangenti, l´unico posto dove potevi venire a mangiare era casa mia. Per questo ho messo due coperti a tavola”.
Fin qui l´aneddoto di Garaudy.
Ma non potrebbe questa donna intuitiva, ospitale e fedele, che apre la porta di casa e colloca un piatto a tavola essere simbolo della Chiesa di Gesù, accogliente e fedele, sempre disposta a condividere con noi tutto quello che ha?